
PANE SENZA IMPASTO CON LIEVITO MADRE
Mi piace iniziare questa rubrica partendo dal pane, alimento alla base della dieta mediterranea, simbolo di semplicità e convivialità.
Che soddisfazione poter sfornare una pagnotta come quella in foto direttamente dal mio forno!
Per non parlare del profumo che avvolge la cucina.
Mi fa piacere quindi condividere questa ricetta molto semplice e veloce nell’esecuzione, un po’ meno nei tempi d’attesa, ma ne vale la pena.
Iniziamo, cosa ci serve?
– 500 g di farina (200 g di farina manitoba + 300 g di farina a vostra scelta, a me piace molto quella di farro)
– 350 g di acqua a temperatura ambiente
– 10 g di sale
– 80/100 g di lievito madre liquido (li.co.li) rinfrescato 2 volte (dipende dalla forza del vostro lievito) oppure 2 g di lievito di birra
– semola rimacinata per spolvero
– un coccio diametro 22/24 cm
E adesso?
Sciogli il lievito nell’acqua e tieni un goccio da parte dove andrai a sciogliere il sale.
In un recipiente metti le farine e poi versa l’acqua mescolando velocemente. Ora aggiungi l’acqua con il sale, il composto dovrà risultare molle ed appiccicoso (in caso aggiusta con un po’ di acqua). Ora copri il recipiente con una pellicola trasparente e lascia lievitare in frigo per circa 20/24 ore.
Prendi l’impasto e lascialo per 2 ore a temperatura ambiente; rovescialo poi su un piano infarinato e spolveralo leggermente di farina. Allarga l’impasto, appiattisci con i polpastrelli molto delicatamente fino ad ottenere un rettangolo e inizia a fare le pieghe: piega l’impasto in tre parti, prima da un lato poi dall’altro. Capovolgi l’impasto con le pieghe a contatto della spianatoia, spolvera con la semola e coprilo con un canovaccio pulito per 2 ore.
Metti il coccio in forno e portalo a 250°C; poi prendi il coccio (fai attenzione che è bollente) e delicatamente capovolgi l’impasto dentro, le pieghe dovranno essere rivolte verso l’alto. Copri la pentola con il coperchio e cucina per 30 min, poi togli il coperchio e cucina per altri 20 min circa per dorare bene la pagnotta.
Falla raffreddare su una griglia almeno un paio d’ore prima di consumarla.
Bene la tua pagnotta è pronta, fammi sapere com’è venuta 😉
LI.CO.LI.
Vi sarete chiesti, cos’è questo li.co.li (lievito madre in colatura liquida)?
È una pasta madre a tutti gli effetti, solamente più idratata, con il grande vantaggio di una più facile gestione rispetto alla pasta madre solida, adatto ad un uso domestico senza essere troppo impegnativo.
Come farlo da zero?
Ingredienti
– 150 gr farina Tipo 2 (è ricca di microrganismi utili a dar vita al nostro lievito)
– acqua 150 gr
– uva passa 10 gr
– un barattolo di vetro
– una garza
Procuriamoci uno starter, (mela, yogurt, miele, ecc…), io ho scelto dell’uva passa.
Lo starter ci aiuterà, come un’esca, a catturare i microorganismi indispensabili per il nostro lievito naturale.
Iniziamo sciacquando delicatamente l’uva passa per eliminare eventuali residui di polvere e poi immergiamola per mezz’ora nell’acqua che utilizzeremo per l’impasto. Oltre ad ammorbidire la frutta questa operazione è utile per attivare gli enzimi degli zuccheri.
A questo punto frulliamo il tutto con un mixer ad immersione, quindi incorporiamo la farina.
Trasferiamo il tutto nel barattolo di vetro, copriamo con una garza bagnata per garantire una buona aderenza e blocchiamo con un elastico.
Lasciamo a temperatura ambiente per 48 ore: la garza permette di far circolare aria e far entrare microbatteri interessati alla nostra esca. Inizia la cattura.
Passate le 48 ore la nostra fermentazione è attiva.
A questo punto iniziamo con il rinfresco, che per avere un lievito pronto dovrà essere fatto per un mese ogni 48 ore.
Ora andremo ad utilizzare una farina di Tipo 1.
Quindi andiamo ad unire impasto, acqua e farina in parti uguali (100 gr per ingrediente).
I profumi che dobbiamo sentire sono una leggera acidità, una parte lattica che ricorda lo yogurt e un bouquet simile al miele.
Inseriamo il composto in un barattolo di vetro con coperchio, al quale dobbiamo togliere la guarnizione per permettere il ricircolo di ossigeno e per far uscire i gas di fermentazione.
Lasciamo riposare per 48 ore a temperatura ambiente.
Ripetiamo l’operazione per un mese ogni 48 ore.
Se dovesse aumentare l’acidità o vedete che il lievito sta “impazzendo”, ponetelo in frigo anziché a temperatura ambiente.
Dopo un mese siamo pronti per testare il nostro lievito.
Rinfrescatelo con della farina Tipo 0 e ponetelo in frigo per 24 ore prima di utilizzarlo.
Per mantenere il lievito vivo e attivo consiglio un normale rinfresco almeno una volta alla settimana.
Buona panificazione!


IL FIORE DI TREVISO
Non potevo non dedicare uno spazio ad un prodotto che , insieme ad altri, è il simbolo della mia città: il “Radicchio Rosso di Treviso IGP”
Per fregiarsi di questo marchio deve crescere dall’area compresa fra le province di Treviso, Padova e Venezia. Il raccolto avviene a partire da fine ottobre/primi di novembre e talvolta viene fatto ancora a mano; a seguito deve essere sottoposto all’imbianchimento, una tecnica durante la quale i mazzi vengono posti in vasche riempite con un filo d’acqua di risorgiva.
Dopo circa 15 giorni, una volta ottenuti i nuovi germogli, si procede con la toelettatura, il lavaggio e il confezionamento.
Quando è pronto si presenta con la tipica forma lanceolata, con germogli regolari e compatti; il lembo fogliare è di un colore rosso intenso con una nervatura bianca che lo rende elegante e regale: da qui il nome “Fiore d’inverno”.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di poter apprendere ed imparare i rudimenti della lavorazione di questo straordinario prodotto che, prima di raggiungere le nostre tavole, richiede lunghe, sapienti e pazienti lavorazioni manuali.
Non mi soffermo sulle specifiche fasi di lavorazione (anche perché sicuramente dimenticherei qualcosa o non le spiegherei nel modo corretto) ma ci tenevo a dare un’idea di quanto lavoro c’è dietro ad un “semplice” cespo di radicchio. Infatti ho voluto fare questa esperienza per riflettere ulteriormente sull’importanza dei tempi della natura, che dobbiamo rispettare: troppo spesso c’è la “caccia” al prodotto fuori stagione, oppure si vogliono anticipare i tempi di produzione perché il mercato lo richiede. Forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo, guardarsi attorno e rendersi conto che stiamo perdendo la voglia di aspettare le cose.
Un grazie speciale a Bertilla e Luigino per questa opportunità.
CUCINA E ARTE, QUALCHE CURIOSITÀ:
IL CARPACCIO
Vi siete mai chiesti da dove nasce questo nome?
Siamo a Venezia negli anni ’50, e più precisamente nello storico locale “Harry’s Bar”: l’allora proprietario Giuseppe Cipriani riceve la richiesta da parte di un’amica, la contessa Amalia Nani Mocenigo, di preparare un piatto a base di carne cruda in quanto i medici le sconsigliarono il consumo di carne cotta. È in quel momento che il “carpaccio” prende forma.
“Un piatto di sottilissime fettine di controfiletto di manzo con una salsa detta universale” (cit.)
Il nome del piatto viene dato in onore di Vittore Carpaccio perché a Cipriani il colore della carne cruda ricordava i colori intensi dei quadri del pittore, alle cui opere era dedicata proprio in quel periodo una mostra al Palazzo Ducale di Venezia.
Il nome di un piatto che ormai è diventato una terminologia vera e propria, in quanto la parola “carpaccio” viene utilizzata per tutte quelle pietanze crude, semi-crude, affumicate o addirittura cotte che prevedono un taglio sottile.
Una storia che fin da subito mi ha affascinato e fatto capire che il cibo, il vino e la cucina vanno oltre a una tavola imbandita ma nascono spesso da episodi della vita e dalle relazioni tra le persone.


COZZA: LA “REGINA POVERA” DEL NOSTRO MARE
Questo mollusco regna incontrastato da sempre nei nostri mari ed è forse per questo che non sempre le diamo la giusta attenzione e importanza nei nostri piatti, anzi il termine “cozza”, nel linguaggio comune viene usato per indicare qualcosa di brutto e di fastidioso.
Ma povere, dico io, c’è cozza e cozza!!! ?
Grazie alla biodiversità presente in Italia troviamo esemplari di varia forma e gusto.
Anche se le troviamo tutto l’anno nei nostri banchi, anche la cozza ha la sua stagionalità che va da aprile a settembre, raggiungendo il picco per gusto e consistenza nei mesi più caldi (luglio e agosto).
E quindi che cozze possiamo incontrare nei mari del bel paese?
Cozza di Scardovari DOP, la nostra eccellenza, unico mollusco italiano tutelato da disciplinare; il basso tenore di sodio contenuto nelle acque di allevamento, grazie all’incontro tra correnti d’acqua dolce e del mare presente nella sacca di Scardovari, conferisce a questo “frutto” un gusto dolce e delicato e una consistenza morbida ma di grande consistenza.
Cozza Pugliese (PAT), prodotto agro-alimentare tradizionale; di sicuro una delle qualità più famose in commercio. La cozza per la Puglia significa storia, tradizione e cultura. E proprio da un piatto tipico della tradizione pugliese, riso-patate-e-cozze, che ho preso ispirazione per il mio piatto “il Peocio di Venere” (in foto)
Troviamo poi altre eccellenze anche se meno diffuse e presenti più che altro nei mercati locali come la Cozza del Golfo di Napoli e quelle di Olbia; ancor più di nicchia le “Selvagge del Conero” e le “Pelose di Puglia”.
La più diffusa invece è la Cozza Adriatica e qui spezzo una lancia a favore di una piccola nicchia locale, ossia, il “Peocio di Barena”, che potrete degustare alla festa che ogni anno, a fine agosto, si tiene ad Alberoni Lido di Venezia.
E ora buon divertimento alla ricerca della tua cozza preferita, la regina ti aspetta!